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COME SI CURA LA TALLONITE? UNA REVISIONE DELLA LETTERATURA ED ESPERIENZE PERSONALI

Durante il mese di febbraio ho avuto modo di valutare alcuni pazienti con dolore al tallone (Fig 1) o alla pianta del piede. Ho allora condotto una ricerca su Pubmed, inserendo come parole chiave, dolore al tallone ed esercizio terapeutico. Ho incluso solamente gli studi effettuati negli ultimi 5 anni. Mi sono apparsi 10 articoli (revisioni sistematiche della letteratura), concernenti questo argomento.

Tra questi 10 studi, sicuramente una revisione sistematica del 2021 (1), li riassume tutti in quanto si tratta di una guida sulle migliori pratiche (BPG, best practice guide) da attuare in caso di dolore al tallone, sviluppate da esperti clinici sulla base degli studi disponibili, il ragionamento clinico e valutazioni pratiche su pazienti.

Il dolore al tallone (PHP ossia Plantar Heel Pain) colpisce il 4-7% della popolazione ed è associata con una ridotta qualità della vita ed una limitazione nella partecipazione alla vita sociale o sportiva. Si manifesta con un dolore, a volte anche molto intenso, concentrato nella zona del tallone. Alcune persone riferiscono il sintomo più intenso la mattina appena si appoggia il piede a terra o in generale ogni volta che ci si alza dopo essere stati seduti o sdraiati a lungo.

Come descritto in figura 2 l’approccio integrato al dolore al tallone comprende due livelli. Il primo livello “DO” comprende 3 terapie più efficaci: lo stretching alla fascia plantare, l’utilizzo di un bendaggio specifico (“Low dye taping”) e l’educazione al paziente. Gli aspetti educativi fanno parte del secondo livello “DECIDE”, ovvero quello di prendere le decisioni corrette, valutando nella fattispecie 4 aree specifiche:

  • La gestione del carico (statico e dinamico)
  • L’educazione al dolore (conoscere meglio i meccanismi del dolore e monitorare i sintomi)
  • Condizioni generali correlate (condizione di forma, indice di massa corporea)
  • Utilizzo della calzatura (la comodità, il differenziale tra rialzo anteriore e posteriore e l’accettabilità sociale di tale calzatura)

Come in tanti altri problemi più complessi, la valutazione più completa di tutti gli aspetti diventa essenziale per una buona risoluzione del problema.

Altre terapie sono state valutate ma nessuna ha portato miglioramenti statisticamente rilevanti. Non vuol pero significare che una terapia che non abbia riportato sufficienti prove non sia da utilizzare in assoluto.

Rimanendo nel campo dell’allungamento muscolare, nello studio viene preso in esame lo stretching del polpaccio. Personalmente ho sperimentato essere un esercizio molto efficace e rappresenta una tra le principali terapie che indico ai miei pazienti. Questo lavoro (Fig 3), oltre a ridurre la retrazione dei muscoli posteriori, induce una flessione dorsale della caviglia. Esiste una revisione sistematica (2) che indaga i fattori di rischio per il dolore alla pianta del piede. Mi ha sorpreso leggere che oltre all’aumentato indice di massa corporea (BMI alto, ovvero una condizione di sovrappeso od obesità), vi sia anche l’incremento della mobilità in flessione plantare. Questa facilità di escursione può probabilmente causare un disequilibrio del piede. E’ possibile che eseguendo l’allungamento posteriore, seguito da un lavoro di equilibrio/propriocezione(Fig 4), si possa ricreare una stabilità diversa e migliore.

Mirco Montedonico, fisioterapista Physiolab: Corso Brizzolara 1/3, Chiavari - Tel: 3465237941


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BIBLIOGRAFIA

  1. Management of plantar heel pain: a best practice guide informed by a systematic review, expert clinical reasoning and patient values. (d. Morrissey 2021)

  2. Risk factors for plantar fasciitis in physically active individuals: a systematic review and meta-analysis. (Hamster-Wright. 2021)